mercoledì 2 ottobre 2013

Scissione all'interno del PDS: la poesia del lapsus della giornalista di La 7

Il PDL muore, il PDL si sfalda, si lacera. Si esaurisce la spinta propulsiva del PDL. Scissione dei moderati, separatismi dei ciellini, divisionismi di ex craxiani. Nascono nuovi gruppi parlamentari, o forse no, o si. La fiducia non si vota, ma alcuni lo faranno (maledette colombe), allora dai ripensiamoci tutti, si dai votiamola. Berlusconi vota la fiducia. Il dramma umano di Bondi è evidente, uno stato di profondo nichilismo lo attanaglia: che fare? Che pensare? Il tabù Berlusconi ha ucciso il totem di se stesso. Si direbbe che al posto dell’atteso parricidio un autentico suicidio politico si sia verificato. Un gran trambusto di servizi ed inviati specialissimi vessati dai rispettivi direttori dei TG. Domanda Mentana, davvero emotivamente coinvolto: “Quali sono gli ultimi boatos da Palazzo Madama?”. In giornate così, quando la politica diventa pettegolezzo, vociare indistinto, anche il neologismo è arte.

 Berlusconi si è arreso ad Alfano, il vecchio ha ceduto il passo al giovane e volendo si potrebbero mettere in fila chilometri di metafore imbarazzanti sui delfini e gli adolescenti con le chiavi di casa e altre infinite banalità. La linea politica degli strenui difensori del nostro anziano eroe ha perso; la battaglia corpo a corpo delle pitonesse e dei falchi contro i mulini a vento degli ostili al capo sembra essersi esaurita in un niente, o meglio in poche frasi del capo stesso, che in due minuti scarsi, come a volersi togliere il prima possibile dall’impaccio, dal basso del suo scranno si rimangia tutti gli attacchi, gli sproloqui e le manifestazioni un po’ paranoiche dei giorni scorsi e si decide a sostenere Letta. Si sarà accorto che la sua vera fine politica sarebbe stata causata da una odierna sconfitta numerica. Meglio evitare uno scontro frontale se ci si riconosce più deboli del nemico interno, meglio rientrare nei ranghi e aspettare.

Tutto questo non è poi tanto interessante.

Però si ascolta un discorso di Letta che ammicca alla destra, e pure al suo vecchio leader azzoppato, che quasi quasi gli diventa complice, sottintende vicinanza, che di irricevibile e non-votabile dal beneamato Caimano non ha proprio niente. Anzi, si ascolta un discorso retorico e farcito di una morale fuori luogo, di nomi fuori luogo, altisonanti, troppo, rispetto al momento di oggi, come a volerne sopravvalutare la gravità. Sarà per la convinzione di essere investito da un compito tanto sovrumano, che Letta presenta se stesso come l’uomo in grado di restituire all’Italia una grandezza che, pur essendo stata la nostra storica ossessione, non abbiamo mai avuto. E per questa convinzione Letta si sente unico responsabile, unico salvatore ed ha acquisito una fiducia nella propria capacità politica che fino a cinque mesi fa sembrava impensabile. Sarà per questo motivo che rivendica con fierezza le borse di studio per i conservatori e tace candidamente sugli inutili battibecchi sull’IMU, sul macroscopico problema dell’aumento dell’IVA, sulla triste latitanza di un vero dibattito parlamentare sulla legge elettorale...

E così traspare finalmente in modo netto, dalle parole di Letta, dalle sue incrollabili certezze, che il governo che era stato presentato qualche mese fa come temporanea soluzione ad un irrisolvibile e contingente problema di ingovernabilità, oggi si pone come governo autenticamente politico, del tutto legittimato a governare per un orizzonte temporale ben più vasto di quello inizialmente indicato. Questo è un fatto interessante. Anche vagamente inquietante, in realtà.

La mia sensazione è che oggi, piuttosto che perdere tempo a parlare della sconfitta berlusconiana, che poi mi pare del tutto marginale, si dovrebbe discutere di quanto nel giro di poco tempo questo governo abbia aumentato nei fatti i suoi compiti, di come questa evoluzione sia stata accompagnata da un progressivo addormentamento dell’opinione pubblica, di come la pacificazione tanto decantata sia in realtà una spaventosa assenza di vivacità intellettuale da parte di una cittadinanza sempre più passiva, di come siamo arrivati a dare per scontato che esistano comitati di saggi a proporre pacchetti di riforme che solo in apparenza possono essere spacciate per oggettive e necessarie, di come accettiamo di delegare infinito  potere sulla base di uno stato di necessità da cui non usciamo da tre anni, che allora diventa un periodo di necessità, un periodo destinato a durare.

E durerà, questo governo, perché fa comodo e finché farà comodo; perché concede tempo a chi necessita di tempo: alla destra, che promuove le sue politiche restando libera di svincolarsi al primo momento utile; al PD, che non aspetta altro che tempo e ancora tempo per evitare di risolvere i suoi problemi interni e che in nessun modo oggi sarebbe stato in grado di presentarsi decentemente ad una nuova campagna elettorale. Con quale segretario? Con quale candidato? Con quale programma? PD che d’altra parte non si rende conto della morsa in cui si sta stringendo, della sua impossibilità di azione. Oggi  Zanda parlava del governo Letta come garante dello stato sociale, a proposito di alienazione dalla realtà…

E il Paese dove va? Il Paese di cosa ha bisogno? A sentire Letta sembra che tutti abbiamo bisogno di lui, cioè della sua presenza, della sua calma serafica. Io non ne sono affatto convinta. Ma anche questo, in fondo, è poco interessante.

Il fatto interessante è che galleggiamo in uno stato di costante carenza democratica. Il rifuggire le elezioni come se fossero il male radicale è una carenza democratica. Il fatto che i telegiornali non parlino che di mercati finanziari ogni volta in cui c’è una minima instabilità politica è una carenza democratica. Il fatto che Letta sarebbe stato disposto a governare pure se avesse ottenuto la fiducia solo da una parte di transfughi del PDL è una carenza democratica.  E questo è pure un ritorno indietro, alla Prima repubblica infinita in cui siamo ancora, che oggi si svela dietro il volto buono dell’uomo con gli occhiali e l’espressione gentile.

Ilaria

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